Di ritorno da Cuba: impressioni e foto di un paese che sta male

di Andrea Giustini

Immaginate di avere la possibilità di fare un viaggio. Un lungo viaggio, dove volete, evadendo da questo autunno scolorito, dal folle rincaro dei prezzi energetici, e dal magone della guerra in Ucraina. Dove andreste? Un lettore di ArezzoWeb Informa lo ha fatto recentemente ed ha deciso di condividere col giornale la sua esperienza: è volato a Cuba. Varadero, Matanzas, Cienfuegos, Santa Clara, Trinidad. E naturalmente l’Avana: questo era il programma del suo viaggio. Per rilassarsi, scaricare e godere di quelle mitiche spiagge bianche, di quel mare caraibico cristallino. 

“Un luogo dove natura e cultura sono rimaste incontaminate” del resto spesso si sente dire. “Romantico nella sua ostinata lotta di resistenza”, narra qualche intellettuale. Magari ecco, non all’avanguardia su alcuni servizi rispetto all’Occidente: “ma è il suo bello”, dice chi c’è stato. O almeno chi c’è stato prima della pandemia da Coronavirus.

Si perché purtroppo, una volta sceso dall’aereo, il nostro lettore si è trovato di fronte un paese molto diverso da quello solitamente “narrato”. «Volevo semplicemente andare al mare, rilassarmi, ma è stato come ritrovarsi in un altro genere di film – ha detto ad ArezzoWeb Informa -. A quel punto non potevo continuare la vacanza come niente fosse. Ho cercato di calarmi nei panni di un cubano qualsiasi, perché volevo capire, rendermi appieno conto di quale fosse la situazione nel Paese».  

Le prime ravvisaglie subito a Varadero. Il viaggiatore alloggiava in un villaggio turistico, una sorta di resort dove era tutto compreso: dal mare al cibo. Ma al di fuori della struttura nulla esisteva: il deserto. Non c’era connessione internet, se non dalla reception del villaggio, che però era instabile. La spiaggia era uno sconfinato e angosciante nulla a destra e sinistra, senza alcun servizio, nemmeno un bar: spuntavano giusto qualche guardia e un bagnino, governativi. E il mare era bello, certo, ma ce n’era anche un altro che bagnava la spiaggia, fatto di plastica, lattine e vetri, su cui svolazzavano sopra cartacce, come gabbiani. 

«Metteva male», racconta il lettore. Magari però era solo una zona abbandonata dell’isola e il resto era diverso. Decide così di provare a cambiare posto, ed ecco che si manifestano i primi grandi problemi. «Non era possibile noleggiare o acquistare alcun veicolo, nemmeno una bicicletta, e si faceva enorme difficoltà a capire se vi fossero servizi di trasporto, e come fare per prenderli. Mi sentivo come un criceto in un ruota».

Dopo parecchio riesce a trovare una stazione autobus, ma per fare un semplice biglietto erano necessarie 3 ore e mezzo di fila. Inoltre gli stranieri erano obbligati ad usare solo carta di credito, ma non esistevano nemmeno i pos. «E’ andata a finire che con la famosa mancia mi sono fatto “il biglietto alla cubana”».

Da lì è cominciato un viaggio scioccante, alla cruda scoperta di un paese che, dopo la pandemia, giace degradato in totale stato di abbandono. Dove l’unica emozione sui visi delle persone che lo abitano è la tristezza. 

Già solo la strada, fra una città e l’altra, rivelava il reale stato di Cuba. A destra e sinistra si vedevano immense campagne: abbandonate. Si estendono per un’area all’interno dell’isola più grande della Valdichiana. Ogni 7-8 km poi compariva un colosso in cemento, anch’esso abbandonato. «Immaginate l’Hotel Planet: ebbene, sono edifici agrari 4 volte più grandi, costruiti dai sovietici e dai cinesi, lasciati a sé stessi» ha spiegato il lettore. 

«La cosa peggiore però è stata vedere il riso». A Cuba vi sono diverse risaie, ma non esistono le essiccatrici. Succede quindi che in una corsia della strada circolano veicoli, spesso fatiscenti e con un’età media di sessant’anni, e nell’altra, giusto a qualche centimetro dalle ruote, viene invece steso ad essiccare riso. Fra gli escrementi di cani, capre e vacche che l’attraversano, ma soprattutto fra le polveri e i metalli inquinanti di quei veicoli. 

Il fumo e le polveri che rilasciano hanno diverse conseguenze. «Ci sono giorni dove la cappa è talmente pesante che non si respira, bisogna coprirsi il viso». Ma quel che è peggio è nel cibo per l’appunto: «Tutto, dai fagioli ai gamberetti, dalle banane fritte alle crocchette, ha un retrogusto come di kerosene». Finisce poi per mescolarsi ad altri odori ed esalazioni, causati dalla mancanza di infrastrutture adeguate, da quelle per lo smaltimento dei rifiuti alla rete fognaria, e così per tutta Cuba, non solo in alcune zone, si sente un odore tremendo. «Ti rendi conto che quella gente respira tutti i giorni roba che fa davvero male: mercurio, piombo e chissà cos’altro. A me ci sono voluti giorni per riprendermi una volta tornato in Europa». 

Le città, a parte qualche rara piazza a l’Avana e Cienfuegos, sono diventate sobborghi con persone ridotte ad abitare in veri e propri tuguri, nemmeno “casine”. Spesso sono senza corrente e anche se c’è capitano intere giornate dove il servizio cessa del tutto. Gli edifici sono completamente sgarrupati e si verificano crolli di continuo, con all’interno persone. L’acqua, chiara o sporca, esce un po’ ovunque per le strade, tanto che non si capisce se esista una vera rete fognaria o se funzioni. 

«Ho voluto – ha raccontato il viaggiatore – fare un esperimento: contare quante persone dovevo incontrare nelle città prima di vedere un volto sorridente». E’ un buon metodo per rendersi conto dello stato d’animo di un paese. In Europa, in Occidente, in media bastano una decina di persone. «Contavo, aspettavo, ma ce ne volevano almeno cinquanta prima di trovare qualcuno sorridente. Sorridente poi, si, ma chissà per quale motivo».  

Le persone stanno visibilmente male a Cuba: sono smunte, trasandate, e si percepisce in loro come una triste rassegnazione. Soprattutto sono affamate. «Mi sentivo male – ha detto il lettore – a mangiare con facilità, io che potevo. Ho voluto invece provare a calarmi nei panni di un cubano, provando sulla mia pelle cosa si deve fare ogni giorno per mettere sotto i denti qualcosa». Così ha provato a comprare un chilo di pane: ci sono volute 3 ore e mezzo di attesa e una fila di 100 persone. Stesso copione per avere lo yogurt, il pollo, e pure per “la targhetta” di internet, una specie di gratta e vinci che dà diritto alla connessione momentanea in alcune zone della città. «Puoi averne un massimo di 3: anche lì però 2 ore e mezzo di fila come minimo». 

Tempo fa il crollo della moneta cubana, il CUC, ha provocato uno squilibrio enorme fra il prezzo delle cose più banali e il potere d’acquisto di un normale pensionato. “Una pensione di anzianità base si aggira attorno ai 1.200 CUC – 100 CUC valgono quasi 1 euro – ma un solo pacchetto di sigarette o una birra in lattina sono arrivati a costare anche più di 200 CUC l’uno, cioè ⅙ di pensione». Un altro esempio: un semplice cassonetto pubblico a Cuba finisce per costare più di 100 volte lo stipendio di un dottore: per intendersi, un dottore come quelli che nel 2020, in piena pandemia da Covid-19, sono venuti qua in Italia ad aiutarci. 

«La cosa che più mi ha fatto effetto – ha continuato – è stata una signora. A l’Avana avevo preso delle crocchette fritte e una bevanda al malto. A un certo punto è passata questa signora: aveva suppergiù la mia età (sulla cinquantina) tuttavia sembrava molto più vecchia, una nonna. Ha visto il mio piatto e si è fermata. Stava lì davanti a me, con gli occhi sgranati per la fame. Non diceva una parola, guardava solo il piatto. “Tieni”, le ho detto allungandogli le crocchette. Non ci credeva. Le ho dato anche metà della bevanda. Lei ne ha bevuto un sorsino e l’ha subito posata. “Guarda che è per te”, le ho detto. “Ah è per me?”. Abbiamo fatto di tutto a metà: 5 crocchette io e 5 lei».

Non esiste igiene, sanità, nessun presidio medico di base. Per non parlare degli assorbenti o dei preservativi. Anche la semplice carta igienica è qualcosa di estremamente raro. «In tutti i miei giri, solo a l’Avana ho visto una farmacia: una. Ma i farmaci, anche quelli più comuni, sono introvabili a Cuba. Dopo essere stato ospitato da una persona per alcuni giorni, gli ho lasciato fermenti lattici, disinfiammanti, antibatterici intestinali, Zitromax. Cose che da noi si comprano tranquillamente e che sono solito portarmi dietro. Sembrava avessi lasciato chissà che».

«Sarei dovuto rimanere fino al 24 novembre – ha concluso il lettore – ma sono rimasto talmente sconvolto che ho preso l’aereo prima. Quello che porto indietro da questa esperienza è la consapevolezza di quanto siamo fortunati noi, e quanto sia importante mantenere tutte le cose che abbiamo qua: tutte, dalle infrastrutture più piccole, come i cassonetti, a quelle più grandi, le farmacie e gli ospedali.

«E ancora quanto sia importante rimanere nella cornice democratica garantita dalla Costituzione, dove l’uomo, con i suoi diritti fondamentali, è al centro non ai margini. Nulla di tutto questo è scontato. E questo non per dire che “il capitalismo” è migliore o sciocchezze simili. Ma solo per far capire che il popolo cubano ha bisogno di aiuto. Un popolo che nonostante tutto questo ho trovato così buono, gentile e disponibile».