Tutti parlano di cultura, ma cosa intendiamo veramente?

Si fa un gran parlare della diffusione dei linguaggi artistici e della cultura negli ambienti digitali. Oggi i musei si visitano all’interno di tour online e i curatori organizzano mostre importanti visibili solo sulle loro piattaforme virtuali. Romanzieri, autori, scienziati e i musicisti hanno canali youtube e molti filosofi hanno smesso di pubblicare in cartaceo. Dunque, che sia in rete è verissimo, ma cosa intendiamo col termine “cultura”?.

La cultura nei nostri discorsi

La parola cultura è piena di ambiguità. L’ampiezza dei significati solleva molti problemi, dunque dobbiamo procedere con cautela. Intanto specificando che nel corso dei secoli sono state moltissime le discipline che hanno contribuito ad allargare il suo significato. Che sia proprio una questione di significati e di comunicazione e dunque di una grammatica che tocca la sociologia e l’antropologia possiamo ben immaginarlo.

Per andare a vedere come le persone hanno fatto uso di questa parola, non possiamo che fare appello alla storia. È così che veniamo a sapere che anche in passato la parola ha avuto molti significati a seconda dell’uso che ne veniva fatto. All’alba della civiltà, il termine è stato applicato all’ambito dell’agricoltura e poi alla pratica religiosa sottintendendone sempre il carattere esclusivo.

Alfred Kroeber

Facendo però un salto vertiginoso lungo nella linea del tempo, si può dire che solo negli anni ’50 del secolo scorso le cose hanno preso un’altra piega. Si racconta infatti che la coppia di sociologi americani Kroeber & Kluckhohn siano impazziti arrivando a contare fino a 160 significati diversi per la parola cultura. Significati validi solo per l’anno 1952.

M’immagino cosa avranno pensato all’idea di mettere in relazione la parola cultura con la parola società. Non c’è che da fare un rapido conteggio: più di un centinaio di significati per ciascuno da sommare ai significati prodotti dalla loro somma. La mole avrebbe scoraggiato chiunque!

Facciamoci aiutare ancora dalla storia

Se però continuiamo a chiedere alla storia, possiamo vedere che nell’Inghilterra della regina Vittoria (regnante nella seconda metà dell’800) il termine cultura ha avuto due direzioni interpretative. Da un lato la cultura bassa e dall’altro la cultura alta, quella che avrebbe dovuto salvarli dalla disumanizzazione della rivoluzione industriale.

La cultura alta era il faro. Praticamente quella elitaria e nozionistica che creava distanze e differenze con la vita quotidiana, proprio perché aveva una missione diciamo civilizzatrice. Lo studio umanistico doveva accogliere la sfida e caricarsi del fardello di portare un’immagine di cultura purificata con sacerdoti pronti a diffonderla con fatica e dolore.

Per compiere tutta l’operazione però era necessario utilizzare come punto di osservazione gli oggetti. Oggetti singoli da studiare così: ognuno separato dal contesto e comunque non facente parte del sistema nel quale era inserito. È così che sono state lette e studiate le opere d’arte, gli oggetti d’arredo, l’arte cosiddetta minore, il romanzo rosa, le filastrocche, il fumetto, il design, l’architettura e poi tutto il resto.

Nel XX secolo cambia tutto

Alla fine del Novecento tutto è cambiato. Gli studiosi hanno cominciato ad escludere valutazioni di valore e invece di parlare di fragilità del passato da “salvare e difendere” hanno cominciato a parlare di persistenza della cultura.  La cultura cioè è qualcosa che rimane e che ereditiamo. È più simile allo svolgimento di un’attività invece che ad un oggetto prezioso e delicatissimo da proteggere. La cultura diventa così quell’insieme complesso che include molte cose come il sapere, ciò in cui si crede, l’arte, ma anche il costume e ogni abitudine acquisita dall’uomo in quanto facente parte di una comunità.

Il problema è che non ci semplifica la vita, anzi. Non è raro infatti usare il termine cultura con un senso vago, nel quale il massimo che riusciamo a vedere è la personificazione di una cultura alta che si è abbassa per raccogliere le cose più quotidiane e popolari e che contempla il formaggio con le pere alle inaugurazioni delle mostre come dato di massima apertura interculturale.

Il digitale e la cultura dell’interscambio in rete

Mentre noi siamo ancora impigliati in questa rete non ci siamo accorti dell’entrata in scena di un nuovo soggetto che ha reso tutto ancora più dinamico. Sto parlando ovviamente della rete e dei media digitali.

Internet ha già dimostrato di essere un ottimo strumento di produzione e diffusione e ha anche creato nuovi pubblici che vivono, operano, rispondono e cambiano il modo con il quale fruiscono i contenuti siano essi testi letterari, grafici, opere d’arte e cultura in genere. La rete ha inferto il colpo decisivo a tutti coloro che pensavano che la cultura avesse bisogno di mediatori, interpreti o critici d’arte e ha accelerato – di nuovo – il tramonto delle élites. Oggi siamo un network culturale e la community è la nostra parola d’ordine.

Nuovi scenari ma la sostanza è la stessa: “studiare sempre”

 

La dimensione culturale sta entrando sempre di più dentro una cornice diversa, al di fuori degli spazi più tradizionali. L’interscambio è l’aspetto più proficuo di questa conoscenza, quindi bisogna negoziare le nostre certezze e attraversare le discipline in maniera orizzontale. La cultura si riferisce al singolo, ma ci chiede di conciliare la nostra soggettività alla rete sociale. Allora possiamo tentare un significato parlando di cultura up to date, cioè di un sapere sempre aggiornato fatto di conoscenze che si formano nel tempo. Una cultura che ci chiede di studiare sempre perché oltre a non essere statica, si arricchisce attraverso la relazione.

 

Matilde Puleo